Dario Ronzulli. Amico. Giornalista. Grande Professionista. Voce storica di Radio Sportiva e ora di TuttoMercatoWeb. Poi leggi quanto scrive bene su Tuttosport e non sai decidere cosa sappia fare meglio. Eccolo qui, tutto per voi.
La radio: una passione che nasce come e quando?
Nasce sin da bambino, con mio papà assiduo ascoltatore di “Tutto Il Calcio Minuto per Minuto”. Mi piaceva l’idea del radiocronista che accompagnava l’ascoltatore nella partita, il rapporto di fiducia che si instaurava giocoforza. Poi sono arrivati altri esempi, su tutti Fiorello e Baldini, a impiantare nel mio cervello la voglia di provarci anch’io.
Raccontaci la magia della radio
Nell’era dell’immagine sempre a disposizione di tutti, la radio mantiene intatto il suo fascino. Potenza della voce, del racconto orale, della leggerezza del mezzo. Fare radio, parlare ad un microfono dà enormi responsabilità: chi è all’ascolto si fida di te, pende dalle tue labbra. Nonostante faccia radio dal 2003, quando il microfono si accende sento ancora il brivido della prima volta. E quando finisco la diretta ho adrenalina nel corpo per almeno un’altra ora. Ecco, la magia della radio è questa: richiede un grande sforzo, nel farla e nell’ascoltarla, ma in cambio sa riempirti il cuore.
Gli sport nei quali ti senti più ferrato
Sicuramente il basket, perché a parte la cheerleader ho fatto di tutto sul parquet (sorvolando sul mio passato da giocatore…) e questo mi permette di conoscerne parecchie sfaccettature. Poi il calcio che non ho praticato ma che guardo e studio quotidianamente e il rugby, che mi affascina moltissimo soprattutto per lo spirito di squadra che trasmette.
E invece qual è il tuo sport preferito?
Ah non c’è dubbio: il basket. Adoro analizzare i dettagli che sono dietro ad una singola azione e ad un’intera partita. Un gioco che vive di trasformazioni continue, di imprevedibilità, di grandi gesti tecnici e grandi minuzie tattiche. Un gioco che ti travolge come un’onda già la prima volta che lo vedi dal vivo. Un gioco in cui, per citare Lou Carnesecca, solo una parola non va pronunciata mai: “mai”.
Raccontaci la storia di “Stopamo le bosi”
Eurobasket 2013, in Slovenia. Assieme ad altri amici e colleghi (Alessandro Pediconi, Emiliano Carchia, Marco Barzizza e Fabio Cavagnera) seguiamo gli azzurri a Koper nella prima fase. Nel palazzetto (peraltro splendido) c’è una palestrina e all’ingresso è affisso un cartello con su scritto, appunto, “Stopamo le bosi”. Era la prima frase riconducibile all’italiano, ovviamente in maniera forzata. Come degli adolescenti ci siamo messi a ridere e l’abbiamo eletta a frase simbolo di quell’europeo. Cosa significa? “passiamo solo a piedi nudi”
Per quale squadra fai il tifo?
Nel momento in cui ho iniziato la professione di giornalista ho accantonato le mie passioni adolescenziali, sia nel calcio che nel basket. Tutte tranne una: il Foggia, che è la squadra della mia città e per la quale non posso che avere più trasporto. Ma il “tifoso” del Foggia lo faccio a casa o comunque a microfoni spenti.
Il tuo tifo ha mai condizionato il tuo lavoro?
Spero proprio di no. Per come la vedo io un giornalista non può fare il tifo. Può essere sentimentalmente legato maggiormente ad una squadra, magari della propria città come nel mio caso, ma fare il tifoso vero e proprio mentre esercita rischia di essere deleterio per la propria professionalità. Fatico ancora a comprendere, ad esempio, come possano essere usate definizioni tipo “telecronista fazioso” che per me sono un ossimoro.
La cosa più divertente che ti è successa in radio?
Ce ne sono una marea! Te ne racconto tre. Un ascoltatore a Sportiva chiamò per lamentarsi che non si dà più spazio ai giovani calciatori italiani e portò, come esempio di esterofilia, El Shaarawy: al mio appunto su Stephan italianissimo ha balbettato e poi detto qualcosa tipo “Devo scappare”. Sempre a Sportiva durante un collegamento per la rubrica sul Fantacalcio all’improvviso si sentì una scarica di tuoni e la linea cadde, il mio collega rimase impassibile, io invece confesso di essermi accartocciato dalle risate. Terza: una sera a TMW Radio al mio ospite cedette la sedia nel bel mezzo di una domanda. Quello che andò in onda fu: “Come lo vedi lo United in Europa League? Non sembra avere concorrenza di alto (sbabam!) livello. Ma ce lo dirai tra poco. Ora musica!”
L’evento che avresti voluto seguire dal vivo?
Da malato di sport avrei voluto vederli tutti! Ma se proprio te ne devo indicare uno vado facile su uno dei match tra Alì e Frazier: Thrilla in Manila, 1º ottobre 1975. I due se ne diedero letteralmente di santa ragione: un incontro durissimo, “la cosa più vicina alla morte che mi sia mai capitata” per usare le parole di Alì.
Il complimento più bello che ti hanno mai fatto?
Che sono preparato. Io sono molto maniacale nell’organizzazione delle informazioni e nella preparazione delle trasmissioni: quando capita, perché ovviamente capita, di dire un dato non corretto c’è un omino dentro di me che urla e sbraita disperato. Quando mi viene riconosciuta l’attenzione nella preparazione quell’omino gongola.
Cosa ti piacerebbe che si dicesse di te?
Che non sono sbracato e fazioso. Resto fermamente convinto che chi faccia il mio mestiere debba mantenere un certo aplomb, accompagnandolo ovviamente alla conoscenza della materia di cui tratta. Così si acquista credibilità agli occhi dei lettori/ascoltatori/spettatori. La rissa verbale non porta a niente. E poi la faziosità: esprimere opinioni dettate non dalle proprie idee o dai fatti ma dalle proprie antipatie o da chi versa bonifici sui conti. Mi sforzo quotidianamente per dare credito ai miei pensieri: non è facile (anche perché spesso il tifoso scambia l’opinione diversa dalla propria per faziosità) ma sento il dovere di farlo.
Il tuo giornalista preferito (radio, tv, carta stampata) e perché?
Tra i tanti punti di riferimento da cui attingere vado con uno con cui ho il piacere di collaborare quasi quotidianamente: Piero Guerrini di Tuttosport. Il confronto con lui prima di scrivere un pezzo è sempre fonte di stimolo, di apertura mentale e di dialettica produttiva.