
Quando la serie A tornerà in campo, nel prossimo fine settimana dopo le feste, troverà alcune situazioni nuove come Iachini al posto di Montella sulla panchina della Fiorentina, Nicola al posto di Thiago Motta su quella del Genoa, un nuovo proprietario alla Roma e soprattutto un protagonista del calcio mondiale come Zlatan Ibrahimovic che riporta ad antichi fasti del nostro pallone, suggestioni senza tempo ma anche dubbi nuovi che non avremmo nemmeno pensato di sollevare solo un paio di anni fa. E’ chiaro però che l’arrivo di Ibra aggiunge al campionato un peso massimo che sta sullo stesso piano di Cristiano Ronaldo, almeno dal punto di vista mediatico e egotico. Due numeri uno che sono convinti che non esista un numero due, perché le tre posizioni del podio sono tutte occupate da loro stessi. Due uomini che in maniera diversa hanno cambiato, e cambieranno in inverno e primavera, il calcio italiano. Due campioni senza tempo, ma ai quali il tempo inesorabilmente sta iniziando a chiedere il conto e non è solo una questione di anagrafe. Anche se quella pure influisce e basta fare due conti aggiungendo alla lista anche Franck Ribery, un altro asso totale sbarcato nella penisola e che al momento è fermo per infortunio. Il francese ha 36 anni, CR7 ne ha quasi 35, Ibrahimovic ne ha 38. In totale i tre giocatori tecnicamente più forti e iconici del torneo ne sommano 109. Si può dire che la serie A è tornata ad attirare i grandi campioni, ma bisogna precisare. E’ tornata ad attirare grandi campioni adulti, se la parola vecchi suona oltraggiosa.
Le vecchie certezze
Quindi vecchie suona con due significati diversi e contrapposti. Ibrahimovic ha quattro anni più di Cristiano Ronaldo e un ego forse anche più sviluppato, Cristiano Ronaldo risponde che ha quattro Champions League e cinque Palloni d’Oro in più. Entrambi vengono da povertà assortite della periferia calcistica europea, a Madeira c’era talmente poca pianura che neanche i campi di calcio potevano farli completamente pianeggianti e a Malmoe il giovane Ibra lo chiamavano zingaro per quelle origini balcaniche evidenti nel cognome come nel profilo. Che poi abbia deciso di confermarle rendendosi il nomade più efficace del calcio contemporaneo è un dato di merito, avendo vinto ovunque con le maglie di Ajax, Juve, Inter, Barcellona, Milan, Paris Saint Germain e Manchester United, i Los Angeles Galaxy li citiamo solo perché sono venuti buoni per un paio di battute memorabili partorite dalla sua lingua geniale quanto i suoi piedi. CR7 e Ibra diventano punti di riferimento ovunque siano, e non è detto che sia necessariamente un bene, ma di sicuro garantiscono spettacolo, gol e soprattutto storytelling a un prodotto come la serie A che si vende bene ma non benissimo e che rispetto a campionati come la Premier League ha carenza di appeal a vari livelli, tecnici e strutturali. E’ chiaro che per fare un confronto non si può prescindere dal fatto che Cristiano Ronaldo da oltre dieci anni gioca con continuità ai massimi livelli mentre l’ultima partita vera di Ibrahimovic risale a oltre due anni fa, nel 2017 con la maglia dei Red Devils, e che tra infortuni e Major League Soccer l’assenza di calcio vero si farà sentire soprattutto nelle prime settimane della seconda esperienza rossonera. L’entusiasmo generato dal suo ritorno rischia di fare passare in secondo piano la fisiologica evidenza che ritroveremo uno svedese diverso da quello visto a San Siro fino al 2012, ma sarà intatta la sua voglia di sfida che lo accomuna al portoghese. Entrambi rendono al massimo di fronte a un ostacolo insormontabile ed entrambi la buttano dentro quando la critica gira loro, anche parzialmente, le spalle. Ibrahimovic porta carisma ed esperienza a una squadra che ne ha un gran bisogno, CR7 ha portato la Juve nell’iperspazio del calcio mondiale nel quale fatturato e follower sui social a volte contano di più dei risultati sul campo. L’altro significato, nelle vecchie certezze, significa esattamente quello che è. Ovvero che, per quanto certezze, parliamo di due giocatori che il meglio della loro carriera ce l’hanno alle spalle. E che l’età, intesa dal punto di vista fisiologico e non anagrafico, può essere accondiscendente con loro più che con altri, può fare sconti ma non regalarti vantaggi per sempre.
I nuovi dubbi
E infatti scendendo sul piano tecnico, la suggestione e lo storytelling a un certo punto incontrano i numeri e le statistiche. Le cifre dicono che con Cristiano Ronaldo la Juve finora ha vinto quello scudetto, l’ottavo consecutivo, che era arrivato sette volte di seguito anche senza di lui. E che però con lui ha conquistato solo un trofeo, la Supercoppa 2018 vinta 1-0 contro il Milan con un suo gol. Non la Champions League, per la quale è arrivato, nemmeno la coppa Italia che finiva in bacheca dal 2015, nemmeno la Supercoppa 2019. Se ne facciamo un mero discorso di palmares, la Juve senza Cristiano Ronaldo in singola stagione dal 2014 in avanti ha sempre vinto di più che con lui. Di Ibrahimovic è presto per dire, ma è facile anticipare che il suo arrivo non permetterà al Milan di competere per il quarto posto che era l’obiettivo stagionale, e sarà difficile anche arrivare all’Europa League. Peraltro in due stagioni è stato fatto fuori un giovane italiano promettente (Cutrone) per prendere un un giovane polacco promettente (Piatek) al quale adesso verrà preferito un quasi quarantenne (Ibrahimovic). Non il massimo della pianificazione a lungo termine. Si potrebbe aggiungere che con Ribery in organico, la Fiorentina sta vivendo gli stessi stenti della passata stagione e ha fulminato un altro allenatore (Montella dopo Pioli, che curiosamente si trova proprio sulla panchina dei rossoneri a fronteggiare ancora una volta mareggiate impreviste). La sintesi è che due squadre che affidano i propri destini a nomi giganteschi del calcio mondiale sono al momento tra le più in difficoltà del campionato, al netto dei propri obiettivi, e che la terza che si accinge a farlo è in enorme difficoltà già prima del suo arrivo. La serie A attuale, stando al 2019, sta invece premiando chi punta sul collettivo e su un allenatore catalizzante (Inter), sulla qualità del gioco abbinato alla crescita dei giovani (Atalanta) e sulla capacità di tenere in campo uomini con spiccate doti offensive indipendentemente dal loro background (Lazio). La risposta definitiva arriverà in primavera, ma i segnali sono evidenti. Puntare su un singolo nome di prestigio garantisce visibilità e ritorno in forma di indotto, ma influenza anche fortemente le scelte degli allenatori (Sarri non può privarsi in nessun modo di CR7 così come non potrà farlo Pioli con Ibrahimovic, se non interverranno altri infortuni) e i risultati, in una percentuale direttamente proporzionale all’usura che avanza anche in giganti di longevità come loro. A questi livelli, non un anno ma sei mesi in più di chilometraggio nelle gambe possono spostare gli equilibri di giocatori che non possono essere spostati in campo e nemmeno sostituiti. Nuovi dubbi avanzano e potrebbero diventare più decisivi delle vecchie certezze.