Il mio viaggio a New York: lo splendore del Garden, il monologo di Edward Norton!

Tornato dalla trasferta di Boston, ho avuto il privilegio di solcare per due giorni il parquet del Madison Square Garden, quella che dagli stessi americani viene definita “The World’s Most Famous Arena.

Basket NBA. Il mio viaggio a New York. Tornato dalla trasferta di Boston, ho avuto il privilegio di solcare per due giorni il parquet del Madison Square Garden, quella che dagli stessi americani viene definita “The World’s Most Famous Arena”. Ho visto dieci Arene NBA in giro per gli Stati Uniti: fidatevi, non hanno torto.

madison-square-garden-strategic-audit-2-638Domenica all’ora di pranzo ho assistito alla sconfitta di St. Johns con Penn State: pessima uscita per la squadra allenata da Chris Mullin e partita incolore per Federico Mussini, 2 punti e pochi minuti. “Per me e per il college è una stagione importante – mi ha detto Musso a fine gara – ma oggi è girato tutto storto, non possiamo giocare con questa leggerezza contro una squadra solida come Penn State”.

Assistere da bordo campo a una partita di College Basketball è divertente: l’organizzazione è un po’ più approssimativa rispetto a quella NBA ma a mantenere l’ordine al Garden c’è sempre un esercito di signori sulla sessantina, giacca rossa di ordinanza del Madison addosso. Gentilissimi ma inflessibili su cosa puoi e soprattutto non puoi fare, ti sorridono ma ti inchiodano: “Sir, your time here is over. Please, you must leave the court”.

Come a dire “Ciccio, io ho fatto la security a Frank Sinatra, Liza Minnelli e John Lennon, ne ho viste tante, non sarai certo tu a infrangere le regole in questo tempio”. Al di là del fatto che quando girovago per i corridoi del Garden mi sento talmente un privilegiato fuori posto che ogni volta che da lontano sento un “Sir, please” mi blocco e alzo le mani in segno di resa.

Tra una partita e l’altra, ho assaporato un po’ di Grande Mela. Esperienza mistica, come sempre. Perché New York tende a aaanon darmi punti di riferimento, strade parallele e perpendicolari a parte.

New York per me è tutto e niente, miseria e nobiltà, orgoglio e pregiudizio, Simon e Garfunkel: rimane aperta 24h e ti fa vedere le vetrine colorate ma se sei un turista dentro alla sua anima non ti fa mica entrare.

Ho visto albe e tramonti, preso acqua sulla Fifth Avenue e sole a Central Park, mi sono regalato Ground Zero alle 23.00, deserto surreale e commovente, cercando di ricordarmi il monologo di Edward Norton de “La 25a Ora”.

 

Mi sono perso e ritrovato ogni dieci minuti nel pirotecnico vuoto pneumatico di una città che non ti lascia mai solo ma che non ti fa mai compagnia. Avere un milione di opportunità, non coglierne una senza qualcuno che ti presenta il conto per questo.

New York ti spiazza, col crossover suoni-luci-colori-razze-odori che ti fa perdere l’equilibrio, ti disorienta e ti manda al tappeto. Si cammina per ore, giorni, a vuoto, a caso, nelle strade dove tutto è saturo: si incamerano emozioni, si incassano clacson, si metabolizzano burriti, si schivano a fatica foto con Capitan America.

Non mi stanco di emozionarmi al cospetto di questo nulla cosmico, all’opportunità che New York ti concede di non ritrovare a distanza di pochi giorni le stesse persone, gli stessi odori, lo stesso clima, la stessa luce. Tutto è diverso e tutto è identico.

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Ieri sera ancora Madison Square Garden, colorato di celeste e arancione, per la partita con i Pacers. L’hanno spuntata i Knicks, sprofondati a -16 a metà terzo quarto e poi resuscitati dalle triple in sequenza di Anthony e Porzingis, prima della fiammata del redivivo Derrick Rose. Ho provato tante volte a innamorarmi dei Knicks.

Sono la squadra di riferimento della mia città preferita, sono sufficientemente sfigati e non vincono mai, i colori sociali sono bellissimi, arancione e celeste come quelli del Bancoroma di Larry Wright. Eppure niente.

Mi sono infatuato dei Lakers di Magic, dei Warriors di Hardaway e Mullin, come posso perdere la testa per una squadra che negli ultimi 20 anni ha spesso interpretato una pallacanestro ruvida, di contatto? Neanche il periodo Starks-Ewing-Oakley mi aveva entusiasmato, così come ora non mi esalta l’attuale “palla a Melo e ci abbracciamo”.

Sager_Jordan-660x400Tant’è. Il Garden splendeva di storia e poesia, i Knicks hanno vinto e celebrato la memoria di Craig Sager, giornalista icona dello sport statunitense scomparso qualche giorno fa all’età di 65 anni.

Domani sera ultima tappa, i Golden State Warriors a Brooklyn. Non vedo l’ora.