Banco campione d’Europa 33 anni fa, ieri. E io in quel bar di Rimini…

La squadra capitolina battè in finale il Barcellona a Ginevra. Il mio ricordo di una notte indimenticabile.

Sì, lo so, era ieri e non oggi la ricorrenza del Bancoroma campione d’Europa 1984 ma mi ci è voluto un giorno intero per metabolizzare ricordi ed emozioni. Abbiate pazienza.

Tirava un vento gelido quella sera, sul lungomare deserto di Rimini. Il mio terzo liceo scientifico si sarebbe concluso poche settimane dopo con una solenne bocciatura (ok, anche Michelangelo ha fatto le sue cappelle, cit.) ma quella sera la mia testa era a Ginevra, non al compito in classe di matematica.

Immaginatemi un diciassettenne che dalla sua vita sportiva aveva già avuto tutto. O quantomeno molto più di quanto avrebbe ricevuto nei successivi 33 anni: nel 1976 avevo trionfato in Coppa Davis a Santiago del Cile, stesso anno in cui Adriano Panatta portava a casa Foro Italico e Roland Garros.

Nel 1982 avevo messo in fila Argentina, Brasile, Polonia e Germania, sentendomi un po’ Nando Martellini 44 anni dopo Niccolò Carosio. Nel 1983 avevo tinto di giallorosso il tricolore a Marassi e vinto il primo scudetto col Bancoroma, superando in finale il Billy Milano di Mike D’Antoni e Dan Peterson. Già, il Bancoroma… Quel blu-arancio che mi aveva stregato, che in adolescenza mi faceva tanto azulgrana in un mondo triste di biancorossi, biancoblu, bianconeri.

Per il Bancoroma, lo confesso, avevo iniziato a tradire la Roma, abbonandomi al basket e non al calcio: due fermate di Metro B da San Paolo e ogni 15 giorni alle 18.00 entravo nella giostra del Palaeur e iniziavano a brillarmi gli occhi. Poi, per inciso, sono ancora alla ricerca dello psicoterapeuta in grado di spiegarmi perché andassi alle partite con una cartellina e il referto da compilare in tempo reale, non con la sciarpa al collo.

Ma questo credo sia un altro discorso. (Vuoi mettere, a 15 anni, poter dire al tuo vicino di tribuna… “Solfrini ha già segnato 8 punti ma ha 3/8 ai tiri liberi?)”.

Lo scudetto col Billy l’avevo vissuto davanti alla tv, impossibilitato a trovare un biglietto. Perché a Roma funziona così, dal basket al badminton passando per la pallanuoto. Non importa quale sia lo sport, se arrivi in finale scudetto passi da 800 spettatori a 13.000. Per poi tornare a 800 la prima partita della stagione successiva.

La discesa dal cielo di Larry Wright aveva però scosso la città, il folletto 4 blu-arancio aveva avuto un impatto sulla città paragonabile a quello del 5 giallorosso piovuto da Porto Alegre. Uno capace di arrivare qui e ribaltare il destino di una società, di un popolo, di una città.

Da Gilardi a Polesello, da Sbarra e Solfrini, il cast di supporto era stato di qualità eccellente ma “Larry” (così lo acclamava il Palaeur, cognome in realtà mai pervenuto) aveva spezzato a metà il campionato. Segnando in faccia a Gallinari padre, al tetto del defunto Palazzone di San Siro, a Pierluigi Marzorati e allo scetticismo di chi considerava il Banco una meteora da stagione regolare.

L’anno dopo, con lo scudetto sul petto, ci abbonammo. Io e la mia cartellina da coach, intendo. La stagione fu però tutt’altro che semplice. Wright si procurò una micro frattura al piede e si mise di traverso, destino follemente analogo a quello di Falcao nell’anno delle due Coppe dei Campioni delle squadre capitoline.

Clarence Kea fu tagliato in campionato e tenuto per la Coppa. Dopo la sconfitta in casa del Bosna Sarajevo e quella al Palaeur con Cantù (al canestro in rovesciata di Riva allo scadere, credo di essere rimasto impalato lì per 14 minuti…), il Banco sembrava spacciato.

E invece no. Fino al 30 maggio 1984, quella di Grobbelaar per intenderci, se perdevo una partita era solo per creare un po’ di pathos. Per apparecchiare il lieto fine. Come l’anno prima, andammo al Pianella da spacciati e ne tornammo da eroi. Qualificati per la finale di Ginevra. La nostra finale di Coppa dei Campioni.

Avevo 17 anni e mi sentivo un supereroe ma questo ai miei genitori interessava il giusto e a Ginevra non mi mandarono, insieme ai 3.000 romani pronti a invadere la Svizzera.

La sera del 29 marzo 1984 ero a Rimini, nel triste albergo 3 stelle che ospitava la Terza B del Keplero di Roma. Fuori tirava un brutto vento. Lo so perché alla fine del primo tempo, col Banco scherzato da Sibilio e San Epifanio, decisi di uscire. L’abitudine alla sconfitta seriale sarebbe arrivata dopo. In quella fase il mio sistema operativo non sapeva gestire il contraccolpo di una finale persa.

Uscii e camminai mezz’ora, poi entrai in un bar per riscaldarmi e in tv mi cadde l’occhio sulle mille bandiere catalane che continuavano a sventolare. Immaginai il -20 facile e invece eravamo in partita, posseduti dallo spirito di Larry Wright e dalla tigna di una squadra che pur giocando una partita con mille errori era rimasta a contatto col Barcellona.

Ho rivisto il secondo tempo di quella finale dieci volte ma veramente, non chiedetemi come abbia fatto il Banco a tornare dal -12.

So solo che Larry infilò una serie ridicola di arresti e tiro, Kea tornò a fare blocchi da casa cantoniera, Bertolotti mise la zampata del “vecchio leone” dall’angolo, Gilardi si riprese in difesa quanto gli era stato tolto dagli arbitri in attacco, Sbarra dimenticò di avere 22 anni. Inarrestabili, vincemmo.

E Giancarlo Migliola, da solo, in un bar di Bellariva con gli occhi pieni di lacrime. E fuori un vento gelido. Dite a Nick Hornby che mi può contattare su Facebook, se lo sentite.

Primi. In tutto. Bianchini il primo allenatore a vincere la Coppa dei Campioni con due squadre diverse, Larry Wright il primo a vincere l’anello NBA, un campionato in Europa e la Coppa Campioni. Il Banco la prima squadra italiana fuori dalla Lombardia a imporsi nella Coppa più prestigiosa. Gilardi il primo ad essere contemporaneamente campione d’Italia, d’Europa con la Nazionale e d’Europa col proprio club.

Larry (Wright) quella finale non doveva neanche giocarla. Il problema al piede aveva minato la sua fiducia e qualche rapporto all’interno della società. Pare però che lo spogliatoio di Ginevra conservi ancora memoria di quanto accadde a fine primo tempo di quella finale. Pure tra mille tensioni, da quelle mura uscì fuori il carattere di una squadra infinita oltre che il talento di un fuoriclasse assoluto.

Il 4 di Monroe, nel giorno più difficile, idealmente il suo rigore lo tirò e lo segnò facendo impazzire di basket 4 milioni di romani.
Il 5 di Porto Alegre, due mesi più tardi, probabilmente non fu altrettanto coraggioso.
Ma la parte più romantica di me è rimasta a Bellariva. Quando uscii da quel bar, il vento era diventato tiepido.

Un vento blu-arancio che non tornerà più.

Grazie, Larry. Grazie, Banco.

Bancoroma-Barcellona 79-73
Bancoroma: Wright 27 (13/32), Sbarra 8 (2/7), Kea 17 (6/11), Tombolato 5 (1/3), Gilardi 4 (1/6), Polesello 8 (2/4), Solfrini 8 (4/8), Bertolotti 2 (1/5), Salvaggi n.e., Grimaldi n.e. All. Bianchini
Barcellona: Santillana n.e., Seara 2 (1 /2), Sibilio 4 (2/4), Solozabal 6 (3 /4), Flores n.e., Ansa 11 (3/7), Starks 12 (5/8), De La Cruz 4 (1 /2), Davis 3 (1/ 2), San Epifanio 31 (12/19). All. Serra
Arbitri: Grigoriev (Urss), Rigas (Gre)
Spettatori: 8.000
Note: Tiro: Bancoroma 30/76, Barcellona 28/48. Tiri liberi: Bancoroma 19/27, Barcellona 17/21. Rimbalzi: Bancoroma 21 (Kea 9), 11 offensivi; Barcellona 16 (Davis 5), 4 offensivi. Palle perse: Bancoroma 7 (Bertolotti 2), 4 recuperi; Barcellona 14 (Davis 5), 10 recuperi