Marchisio, Salah, Pavoletti (e Milik), tre nodi tattici da sciogliere

Juve, Roma e Napoli hanno trovato la loro dimensione tattica. Che succede con i ritorni di Marchisio, Salah e Milik e l'aggiunta di Pavoletti? La risposta potrebbe decidere la stagione

Juve, Roma, Napoli, nodi tattici di primavera – Con la ripresa delle coppe e la serie A ormai nel pieno del girone di ritorno, le big del campionato hanno tutte a modo loro trovato una propria dimensione tecnica e tattica più o meno definita. Curiosamente non si tratta soltanto di scelte frutto dell’ingegno sulla lavagna di Allegri, Sarri e Spalletti, ma anche di adattarsi a situazioni contingenti come infortuni, giocatori assenti per la Coppa d’Africa o alle prese con la ricerca di una piena autonomia fisica che procede per tappe. Che succede però quando questi giocatori tornano a disposizione e la necessità o l’emergenza si trasformano in abbondanza? Vediamo i casi tattici delle prime tre del campionato. Con Marchisio, Salah, Pavoletti e Milik in cerca di collocazione. Nomi che fanno la differenza, ma che adesso devono bussare alla porta dei loro allenatori per ritrovare una maglia da titolari.

La Juve a trazione anteriorissima e il principe – Allegri da quando veste bianconero ha sempre tirato fuori dal cilindro un colpo tattico a sorpresa sul fare dell’inverno. Successe lo scorso anno, con la rimonta dopo le secche iniziali, è successo in questa stagione dopo la sconfitta a casa della Fiorentina che ha dato vita a un 4-2-3-1 che porta cinque giocatori offensivi sull’erba, contemporaneamente, al calcio di inizio. Nel momento in cui Claudio Marchisio, pilastro apparentemente intoccabile di Juve e nazionale, ha dovuto rifiatare dopo essere tornato a disposizione dall’infortunio al ginocchio a novembre, per Allegri è stato quasi automatico varare una linea difensiva a quattro e un centrocampo con Khedira e Pjanic nella cerniera arretrata, Cuadrado e Dybala insieme a Mandzukic davanti e Higuain come punta centrale. Permette al tedesco e al bosniaco di spaziare su quaranta metri sfruttando i polmoni e la generosità del croato per creare un equilibrio tattico inaspettato e proteggere meglio la difesa. Il tecnico ha già spiegato che per rivedere al meglio un giocatore dopo la rottura dei legamenti ci vuole circa un anno, implicitamente confermando che spesso Marchisio potrebbe partire dalla panchina. Una soluzione sarà di alternarlo con Khedira e ci sarà occasione visto l’impegno su tre fronti dei campioni, ma niente al momento induce a credere che l’assetto tattico possa essere modificato per restituire spazio a un giocatore che pareva insostituibile fino a un mese fa. L’unico vero insostituibile nome in questo contesto è Mandzukic, per il lavoro che svolge tra le linee, e infatti il tecnico ha modificato l’assetto iniziale contro il Palermo e utilizzato Marchisio da titolare quando non lo ha avuto per squalifica.

La Roma a tre e mezzo e l’egiziano – Spalletti ha ritoccato una difesa alle prese con mille infortuni ad inizio stagione fino a trovare l’assetto definitivo con una linea a tre e mezzo (già vista con Sousa nella Fiorentina) un centrocampo protetto da De Rossi, Strootman ed Emerson, o Paredes, spostando Nainggolan dietro le punte e utilizzando Perotti come grimaldello di Dzeko. L’allenatore si è trovato senza Salah per un mese e tecnicamente, smantellando il tridente visto fino a gennaio, ha trovato un equilibrio tattico che prima non conosceva. La Roma che fino alla partita con la Sampdoria vinceva con scarto minimo mantenendo la porta inviolata paradossalmente era frutto proprio dell’assenza dell’egiziano. Che è l’antitesi di Mandzukic nella Juve. Fantasia, progressione, spazi che si aprono per Dzeko nel possesso palla. Ma quasi totale assenza nella fase difensiva, lavoro supplementare per la cerniera di centrocampo, minore lucidità nell’ultima mezz’ora delle partite. L’attaccante bosniaco senza di lui ha meno palloni da giocare e la Roma in generale è più prevedibile, ma anche più coperta e più corta durante i momenti di transizione o quando le capita di perdere palla. Adesso che la Coppa d’Africa è finita, per Spalletti è un dilemma. Come restituire spazio all’egiziano, verificandone anche le condizioni fisiche ed emotive dopo la finale persa (e con il ricordo di Gervinho e Doumbia che due anni fa tornarono spremuti come limoni dopo la vittoria con la Costa d’Avorio)? Attualmente il sacrificato è Perotti, che ha visioni e tempi di gioco imprescindibili anche se a Crotone, test poco probante, è successo senza particolari stravolgimenti. Se toccasse a Emerson o Paredes si tornerebbe di fatto alla Roma vista fino a dicembre, con esiti imprevedibili. Né è immaginabile pensare a Salah come arma da utilizzare dalla panchina a lungo termine, anche se è successo con esiti positivi a Villareal e il suo utilizzo dal primo minuto contro il Torino e il suo tridente non ha prodotto particolari problemi alla retroguardia. Probabile che il tecnico toscano stupisca tutti ancora una volta con una Roma 3.0 che sarà necessaria anche per gli impegni di un febbraio massacrante e un mercato che non ha portato altre risorse.

Il Napoli, il falso nueve e i nove veri – Per Sarri la situazione è ancora più ingarbugliata. A ottobre, quando si ruppe Milik, la totale emergenza nel reparto lo costrinse a utilizzare Mertens come parte centrale del tridente, vista la refrattarietà di Gabbiadini al ruolo, e la cosa non fu indolore. Ci vollero un paio di mesi, e un girone di Champions League quasi buttato per l’aria, per avere frutti. Però poi ha preso a funzionare talmente bene che adesso è difficile immaginare un ritorno alle origini. Il Napoli è come il meccanismo sofisticato di un orologio svizzero, i movimenti più che studiati sono sincronizzati e ci vuole tempo per metabolizzarli. Ci sono un secondo posto da rincorrere in campionato, il Real Madrid da ribaltare nelle coppe estere e la Juve in quella nostrana. Ci sono, anche, Milik e Pavoletti. Il primo recuperato dall’infortunio, il secondo prelevato dal mercato. Gli esperimenti con l’attaccante arrivato dal Genoa, in Coppa Italia e domenica a Chievo, non sono piaciuti. Quando hai Mertens stai utilizzando un fantasista col fiuto del gol che gioca con la squadra e per la squadra, quando hai Pavoletti stai usando un attaccante che attende che la squadra giochi per lui anche se è più mobile di un centravanti tradizionale. Discorso simile per Milik, che a inizio stagione aveva ingranato in fluidità occupando fisiologicamente lo spazio lasciato vuoto da Higuain. Il Napoli oggi gioca in modo diverso dalla scorsa stagione e dallo scorso autunno e il meccanismo si inceppa appena cambiano i componenti. L’abbondanza in questo caso è virtuale, né Sarri è uomo da rinunciare ai propri principi tattici per rendere più comoda la vita dei suoi giocatori (Gabbiadini è dovuto emigrare in Premier League, esperimento fallito da entrambi). Siccome la stagione si deciderà a inizio marzo col trittico Juve, Real e Roma, ci sarà bisogno delle gambe di tutti. Ma in questo momento solo Callejon, Insigne e Mertens sembrano sviluppare l’intero potenziale. Pagando un deficit di chili e centimetri che si è visto in tutta la sua ampiezza nella gara di andata contro il Real la settimana scorsa. E in panchina ci sono due nomi a cui è difficile rinunciare, circa 48 milioni di valore, che potrebbero mugugnare. In questo caso l’abbondanza potrebbe essere un limite invece che una risorsa.