Da zero a trecento, il riepilogo della stagione di F1 2016

Il riepilogo della stagione con uno sguardo alle prestazioni dei protagonisti: Rosberg impeccabile, Hamilton altalenante, Ferrari bocciata

La stagione di F1 è andata in archivio ad Abu Dhabi ed è stata l’ultima prima della rivoluzione regolamentare del 2017. Una panoramica sui protagonisti di un mondiale dominato dalla Mercedes.

Nico Rosberg – Ovvero come dimostrare che un figlio di papà con i soldi e con meno talento del figlio della strada può vincere il Mondiale. Si è portato a casa nove gare, è stato più regolare di Hamilton, ha avuto una sola battuta d’arresto prima di agosto. Ha lavorato in pista, sulla velocità in gara visto che in qualifica forte ci è sempre andato, e fuori. Sui nervi. Aveva sempre subito Hamilton appena l’inglese iniziava a fare il bullo a colpi di ruotate, pare uno di quei film di Hollywood dove a un certo punto il bravo ragazzo smette di scappare e dimostra al cattivo che può essere più forte di lui. Titolo meritato. Non sarebbe mai arrivato se la Mercedes non disponesse a piacimento della F1 ibrida, ma meritato.

Lewis Hamilton – Ovvero come il figlio della strada che si è imborghesito si rende conto troppo tardi che stavolta il talento non basta a raddrizzare un sentiero che lui stesso si è messo in salita. E’ il più forte quando ha voglia ma non ha avuto sempre voglia di esserlo. La sua stagione è stata la giostra che è la sua vita privata. Montagne russe, gare impeccabili, crolli senza senso. Filotto di vittorie estivo e autunnale ma black out a settembre che costa il mondiale. Certo, se a Sepang non gli avesse ceduto il motore forse sarebbe riuscito ancora una volta a coprirsi d’iride. La sensazione è che sia il più forte, ancora, ma che la forza di tutto ciò che ha intorno abbia vinto sulla voglia di dimostrarsi tale quando guarda la bacheca e ci vede già tre mondiali. Può sempre rifarsi e nel frattempo, tra gite dal veterinario e Lindsay Vonn e altre madamigelle, non si annoierà in inverno.

Max Verstappen – Ovvero come un altro figlio di papà con il senso della misura azzerato dalla nascita stia diventando la stella polare del Circus. Eccessivo, estremo, azzardato, insolente e anche narcisista. Ha ancora più brufoli che anni sull’anagrafe eppure ha sbeffeggiato tutti, da Vettel a Rosberg al quale stava per fare saltare il mondiale in Messico. Baciato dalla buona stella perché non a tutti è dato di salire su una Red Bull a stagione in corso, ma a 18 anni vincetela voi la prima gara che correte su una monoposto in grado di vincere. E’ insopportabile a tratti e geniale in pista, la gara di Interlagos lo porta già dentro una ristretta schiera di eletti che guidano sull’acqua come gli altri guidano sull’asciutto. Il futuro è suo, l’anno prossimo sarà una nuova palestra, di sicuro ci darà tanti argomenti diversi.

Sebastian Vettel – Ovvero come alonsizzarsi in meno di due stagioni a Maranello. Arrivò bello come il sole, biondo e tetracampione, a riportare entusiasmo in una squadra a pezzi. Tre vittorie nel 2015, zero nel 2016 e un campionario infinito di errori, lamentele, isterismi via radio e un atteggiamento che non ti aspetti da chi ha avuto il mondo in mano quattro volte. La Ferrari sbilenca di questi tempi ha piegato i suoi nervi prima ancora che lui potesse raddrizzare la squadra. E il futuro è un’incognita e lui come Alonso non vorrebbe passare cinque anni a maledire il giorno in cui si era convinto di diventare l’erede di Schumacher. Resa dei conti il prossimo anno.

Ricciardo e Raikkonen – Ovvero come fare dimenticare a tutti che anche tu hai vinto una gara, l’australiano, perché tutti si ricorderanno che hai avuto l’ardore di bere champagne dalla tua scarpa sudata per festeggiare. E come ricordare a tutti che sei quasi in pensione, il finlandese, ma la Ferrari ti rinnova il contratto perché in un mondo in cui si va sempre più veloce, e sempre più giovani, non sia mai che si possa rischiare di dare il sedile a un pilota della nuova generazione. Entrambi in pista anche il prossimo anno e per entrambi, per motivi diversa, un ruolo di spalla. Dovuto per il ferrarista, non voluto ma inevitabile per il lattinista schiacciato dalla furia anche mediatica del suo compagno di squadra.

Mercedes – Ovvero come far credere a tutti puntualmente ogni febbraio, in pista a Barcellona, che la stagione possa essere un minimo combattuta. Concedono una gara agli avversari, quella di Melbourne, per prendere le misure e poi scappano. Nel frattempo invertono il gruppo di lavoro ai due piloti come si fa al campetto quando si mischiano le squadre per vedere se la faccenda diventa più divertente e fanno vincere il mondiale al biondo. Per non andare monotoni fanno la voce grossa con Rosberg e Hamilton quando i due giocano alle macchinine a scontro a Montmelò, 19 vittorie su 21 gare. Il dominio più imponente della F1 moderna. Difficile che finisca anche con il cambio di regole.

Red Bull – Ovvero come dimostrare al mondo che è possibile iniziare una stagione senza sapere quale motore appiccicare al telaio, stare quasi due secondi dietro a quelli argentati e a quelli rossi in primavera e scoprire in estate di essere diventati la seconda forza del mondiale. Le briciole lasciate dalla Mercedes sono tutte sue. L’unità Renault cammina, Newey il suo lo fa sempre, il resto è l’inventiva di un’azienda che brucia i giovani esattamente come porta alla ribalta quelli con più talento. L’azzardo di sostituire Kvyat con Verstappen non è soltanto una mossa da manuale, è la direzione che prende il mondo sportivo contemporaneo. Traducetelo in Bundesliga e avrete il Lipsia primo in classifica con gli stessi ingredienti. Questi ti mettono le ali sul serio.

Ferrari – Ovvero come autoconvincersi che il mondiale si può vincere e scoprire a stagione in corso che non puoi vincere nemmeno una gara. In mezzo c’è di tutto. Dichiarazioni presidenziali azzardate, una macchina che appena la temperatura cambia di mezzo grado diventa più eccentrica di Donald Trump, la guida tecnica passata a Binotto dopo l’addio di Allison, un futuro incerto e nemmeno la felicità a tratti di qualche gara vinta come nel 2015. Con due piloti involuti, con un Arrivabene che non si sa quanto arrivi e quanto bene al 2017, con Marchionne in vena di punizioni corporali per la brutta figura fatta. E la quasi certezza che per quel mondiale non basterà aspettare la prossima primavera per iniziare almeno a provarci.

La F1 – Ogni tanto bello Carlos Sainz e ogni tanto bello Sergio Perez su una Force India di cui non parla mai nessuno. Ogni tanto pittoresco Alonso che in Brasile si è messo a fare il cameraman che tanto la sua McLaren (mancherà Ron Dennis) lo lascia sempre a piedi. Ma in generale una confusione. Paiono macchinine di cristallo, che appena casca un po’ di pioggia non possono circolare e hanno bisogno di stare ore dietro alla Safety Car. La direzione gara pare la giuria di Masterchef con meno criterio di valutazione, il regolamento a eliminazione diretta che dovrebbe abbassare i costi e ti costringe a tirare avanti con gli stessi pezzi per almeno cinque gare altrimenti vai in fondo alla griglia è contrario al senso stesso della competizione motoristica. E per fortuna ci si è dimenticati presto del nuovo format delle qualifiche di inizio stagione, una roulette russa col cronometro in mano che è durata una gara. Meno male che adesso arrivano gli americani, che sanno come conciliare il business con lo spettacolo. Perché la F1 a oggi è una competizione elitaria, studiata e pensata per ingegneri e strateghi che si divertono a complicarsi la vita con i regolamenti, mentre il resto del mondo si annoia. Il 2017 non sarà ancora una rivoluzione da questo punto di vista, ma si può soltanto migliorare.